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Città come prigione, non rifugio ma luogo di sofferenza e squilibrio sociale, comunità di resistenza. Combinando la riflessione sul post-apartheid nei territori marginali con gli immaginari urbani costrittivi che proliferano nella distopia contemporanea, il libro raccoglie spunti eterogenei, riconducendoli però allo stesso nodo concettuale: è possibile immaginare una città indivisa? In che misura la cultura contemporanea riesce a pensare a se stessa come luogo utopico invece che distopico? Quali sono le prove reali di una comunità che funziona: la qualità della vita nel suo centro o come si continua a morire ai suoi margini? I testi saggistici, narrativi e cinematografici raccolti in questo volumetto provano a fornire alcune risposte.